Le famiglie: vivere o sopravvivere con il disagio psichico
Recanati 1-2 ottobre 1999
Anna Arras
Presidente Coordinamento Marchigiano Associazioni per la Salute Mentale
Non è mai semplice affrontare un discorso legato ai problemi che una famiglia vive con un malato di mente. Non è semplice trasmettere ad altri le proprie angosce, le proprie paure; sono così complesse le relazioni, i bisogni, le aspettative all’interno di una famiglia che spesso un genitore, quando prova a comunicare il proprio disagio alla sfera politico-amministrativa, proprio perché coinvolto affettivamente, rischia nelle sue richieste di apparire utopico, confuso, poco aderente alla realtà. Familiari poco o nulla considerati all’interno del processo di cura del malato psichico, che quasi mai hanno pesato nelle campagne elettorali al fine di attirare l’attenzione delle istituzioni intorno al problema della malattia mentale. Risalgono a circa un decennio fa i primi approcci dei familiari verso le istituzioni e gli amministratori, quando timidamente hanno iniziato a far sentire la propria voce, organizzandosi in gruppi e comitati. Fino a quel momento le famiglie hanno sempre sopravvissuto, nell’ombra, disorientate, isolate e spesso colpevolizzate, schiacciate dal peso di una malattia impossibile da gestire da sole, prive di strumenti, di indicazioni, di servizi.
Le famiglie, ancora oggi, sopravvivono perché la sofferenza che accomuna i suoi componenti, per la presenza di un congiunto malato di mente, è indicibile; sopravvivono perché siamo parte di una società ancora non culturalmente elevata in cui quotidianamente si devono affrontare diffidenze, paure, pregiudizi legati alla pazzia; sopravvivono perché le famiglie patiscono anche una mancanza di libertà, una mancanza di tempo e di spazio per realizzare propri bisogni culturali, sociali, affettivi, e non di rado esistenziali, a causa dei limiti che impone la patologia del paziente, che come ben sappiamo richiede un’attenzione ed una presa in carico costante e vigile.
Gradualmente, sicuramente troppo gradualmente nei fatti, rispetto ad una legislazione che invece almeno nei principi non ha nulla da invidiare al resto d’Europa, nei fatti dicevo, molto è cambiato positivamente, anche se tanto rimane ancora da realizzare sia sotto il profilo della crescita culturale che delle risposte ai bisogni.
Nelle Marche, per guardare in casa nostra, possiamo dire che la situazione è certamente migliorata, cinque o sei anni fa pochissime erano le risposte strutturali e di servizio alla malattia mentale presenti nei nostri territori; a tutt’oggi, pur fotografando ancora molte zone d’ombra, si può registrare un’attenzione concreta verso i problemi della psichiatria, da parte delle istituzioni ma non solo di esse.
Diverse lacune sono state colmate, esistono più Centri Diurni nel territorio marchigiano e molte famiglie hanno ricominciano a vivere, pur nella complessità delle situazioni, hanno riconquistato qualche piccolo spazio personale, ma non basta, non basta davvero! Si può e si deve fare di più.
Nelle famiglie deve poter ritornare ad albergare la fiducia, devono poter sperare per i propri figli o parenti, in un futuro meno tormentato e meno angoscioso; devono poter contare su impegni concreti volti alla salvaguardia della dignità dei loro congiunti e al rispetto dei loro diritti di cittadini sia da parte della collettività che delle istituzioni.
A tutt’oggi, parallelamente ad un progetto riabilitativo per il paziente psichico, anche la famiglia sta acquistando una valenza di terapeuticità pari a quella conquistata dallo stesso paziente, cioè man mano che al malato di mente viene concessa la possibilità di una evoluzione clinica relazionale e sociale, riconquistando dignità e speranza, così il contesto familiare ritorna ad essere trasmettitore positivo di vita ed elemento non solo patogeno ma curativo e riabilitativo attraverso i giusti strumenti tecnici e culturali.
Il nucleo familiare del paziente quindi deve continuare ad essere considerato, non solo come elemento portatore di disagio, ma anche come componente importante della collettività in quanto elemento primario e determinante nelle dinamiche curative e riabilitative del soggetto malato.
E’ necessario mettere in campo più risorse possibili, solo così si creeranno le migliori condizioni per raggiungere molti degli obiettivi volti al conseguimento di tutto il benessere possibile del cittadino malato di mente.
Una nuova funzione, nonché una nuova domanda delle Associazioni dei familiari oggi non si esaurisce più solamente nell’essere di stimolo per affrontare socialmente queste problematiche, (come avveniva quando sono nate), ma come anche in questa sede risulta evidente, la loro presenza rappresenta l’esigenza di conoscere, informarsi, e partecipare alla formazione e alla costruzione di un nuovo percorso terapeutico, che vede come parte integrante la famiglia.
L’auspicio è che rinasca, o si rinsaldi, la fiducia reciproca fra operatori della salute mentale e i familiari; in assenza di questo atto di fiducia è molto più arduo il cammino della cura e della riabilitazione.
Molti di noi sanno che tutto ciò non è utopia quando l’impegno e il lavoro di operatori, amministratori, familiari e realtà associative (di volontariato, sportive, culturali) si intersecano creando un’unica sinergia, la riabilitazione e il reinserimento sociale del malato di mente funzionano davvero, e questa non è solamente una certezza del presente, ma diventa anche una spinta al miglioramento.