La storia della Comunità Gruppo Famiglia nei percorsi della nuova Psichiatria
Ancona 04 Marzo 1996
Anna Arras – Presidente Comunità Gruppo Famiglia Porto S. Giorgio
La nostra presenza nel territorio di Porto S. Giorgio risale a 21 anni fa, quando un gruppo di 7 persone con handicap fisico senti l’esigenza di abbandonare i classici luoghi istituzionalizzanti per far parte, insieme ad alcuni volontari, di un tessuto urbano con l’intento di trasmettere ai cittadini ed alle istituzioni, i pensieri, le emozioni, i desideri, la voglia di partecipazione e di rispetto che avevano le persone con disabilità.Già dal 1975 intuimmo che il dibattito culturale sulla cosiddetto “diversità” doveva passare oltre che a livello teorico anche e soprattutto attraverso il contatto e la presenza attiva nel territorio, al fine di stimolare la riflessione su ciò che erano, soprattutto allora, i diritti negati. E’ così che nacque la Comunità Gruppo Famiglia. Dopo il primo anno di assestamento avviammo i contatti con l’Ospedale Psichiatrico di Fermo e con la Provincia di Ascoli Piceno per un progetto di deistituzionalizzazione di alcuni ospiti dell’ O.P.; un progetto che ha riguardato tre fasi di attuazione, fino ad arrivare nel giro di un anno, al completo distacco dal Manicomio di diversi ospiti che sono venuti a vivere stabilmente in Comunità. In questo sviluppo quantitativo ed affermativo di una consistenza sociale, nonché culturale del Gruppo, la convivenza con i degenti psichiatrici imponeva un’altrettanta articolata organizzazione interna al Gruppo che iniziava a divenire, al di là di un’autoconsapevolezza, strumento “terapeutico” di trasformazione e di cambiamento. Il pungolo iniziale al nostro procedere è stato quello di poter offrire un’alternativa umana e sociale alla segregazione manicomiale, all’appiattimento dell’individuo e alla negazione della sofferenza, offrendo uno Spazio e un Tempo di Gruppo che in realtà divenivano anche strumenti curativi, nella misura in cui riuscivano ad offrire un diritto allo “star bene” e un processo inarrestabile di miglioramento clinico individuale e collettivo nello stesso tempo. Fin da allora è stato nostra convinzione che non poteva esserci alcuna riabilitazione per un soggetto con problemi psichici o psichiatrici, se l’intervento sullo stesso continuava ad essere la somministrazione di soli farmaci unito al contatto quasi esclusivo con il personale medico e paramedico. Per questo, pur nella povertà dei mezzi allora a nostra disposizione, mettemmo in circolo tutte le energie e gli strumenti possibili per far sì che lentamente i pazienti potessero riprendere i contatti con il “mondo” sia attraverso delle attività lavorative che attraverso la partecipazione a feste da ballo, gite organizzate da associazioni del luogo, cinema, escursioni e quant’altro il territorio circostante offriva. Le difficoltà e i momenti fortemente critici che la Comunità ha dovuto attraversare non sono stati certamente pochi, non ultimi quelli di tipo economico perché al di là di qualche contributo, fino al 1982 nessun ente pubblico ha sostenuto efficacemente in “moneta” quanto si stava facendo, al contrario del sostegno morale che invece arrivava da più parti, ivi comprese le Istituzioni pubbliche. Stante la situazione, il rischio di chiudere definitivamente la Comunità è stato molto forte, ci ha accompagnato in quei momenti la paura di perdere una ricchezza culturale, esperenziale ed emotiva, ma non di meno ci ha sostenuto la certezza della necessità di caratterizzare quella prima parte di vita comunitaria, in una realtà complessiva che, rispettando le premesse politiche e sociali, doveva, come poi ha fatto, arricchirsi dell’aspetto tecnico riabilitativo. A tutt’oggi la Comunità Gruppo Famiglia, che ha in carico 11 ospiti, seguiti 24 ore su 24, è organizzata come Servizio Residenziale per la Salute Mentale, avvalendosi di un’équipe formata dalla Psicologa, da uno Psichiatra che è il Dr. Ripani quale Primario responsabile dei DSM della ASL 11, da un Assistente Sociale, da due Educatori, da un Istruttore di laboratorio e da me che sono la responsabile; fanno parte dell’équipe anche gli obiettori di coscienza in servizio civile inviati dal Ministero (attualmente 4). Intervengono operativamente nella nostra struttura anche gli Educatori del 3° anno della Scuola Professionale di Fermo per un periodo di tirocinio. La nostra ASL mette e disposizione della Comunità un infermiere psichiatrico che almeno una volta alla settimana fornisce i farmaci ed esegue alcune terapie specifiche. Durante la settimana fino al venerdì gli ospiti sono impegnati in attività di scolarizzazione, disegno, pittura, lettura, creazione di oggetti in stoffa di tipo artigianale, nonché in attività lavorativa conto terzi. Settimanalmente con la psìcologa hanno colloqui individuali e di gruppo e mensilmente viene svolta l’assemblea che comprende oltre agli ospiti tutto il personale. Il sabato mattina è dedicato alla cura del sé attraverso l’intervento di un’estetista con esperienza pluriennale di soggetti con disturbi psichici; mentre il pomeriggio del sabato e la domenica ogni ospite gestisce il proprio tempo libero partecipando ai momenti ricreativi esterni che più lo soddisfano. All’inizio ho citato i rapporti con la provincia di Ascoli Piceno, che a quel tempo aveva le competenze sul Manicomio: il fatto di aver “osato” insieme a noi, di aver ascoltato le nostre ragioni, i nostri progetti, è stato l’inizio di una collaborazione che, anche se in alcuni momenti ci ha visti su posizioni contrapposte, alla fine ha fatto prevalere il punto d’incontro necessario per raggiungere l’obiettivo prefissato. Non di meno sono stati i rapporti con la Regione Marche fin dai tempi dell’Assessore Capodaglio; nel 1982 la nostra struttura è stata riconosciuta, per il servizio che forniva agli ex degenti del Manicomio, e quindi finanziata dall’ente pubblico. Oltre questo, attraverso un forte coinvolgimento da noi promosso, per mezzo di una cooperativa edilizia che formammo nel 1977, la Regione ha finanziato quasi per intero, un progetto edilizio nel Comune di Porto S. Giorgio volto alla costruzione di un Centro residenziale e diurno per rispondere concretamente ai bisogni dei cittadini con disabilità psichiche. Al piano terra (c’è anche un primo piano) sono stati costruiti 8 appartamentini di varie dimensioni, (30 45 60 mq), nonché spazi di ritrovo collettivi, mensa, laboratorio e altri servizi. E’ vero che dal primo appalto sono passati ben 14 anni, non certo per negligenze regionali, (si sa come procedono i lavori quando si tratta di opere pubbliche), ma resta il fatto che la nostra piccola Comunità sì è adoperata fino al limite delle proprie forze per convogliare le energie della Regione, del Comune e a suo tempo anche della Provincia, per la realizzazione di questa opera. Siamo così riusciti e raggiungere l’intento che ci eravamo prefissati (certo 14 anni fa questa struttura era un segnale importante di cambiamento, oggi è un servizio che la Regione si prefigge con il Progetto Obiettivo) e fra qualche mese il Gruppo Famiglia potrà proseguire il proprio lavoro, al servizio della psichiatria, nella nuova sede. Il nostro percorso comunitario ha attraversato diversi passaggi: da un obiettivo di contenimento e da un bisogno immediato di sostituzione di vecchie strutture istituzionalizzanti, siamo passati a nuovi progetti individuali di avanzamento terapeutico, nonché a realizzazioni di autonomie riguardanti una quotidianità ed una complessità relazionale, familiare e sociale e, dove possibile, lavorativa del paziente. Per l’esperienza sin qui fatta, alla luce delle nuove disposizioni, non possiamo che configurarci come una Comunità terapeutica che ospita dai 15 ai 18 pazienti presi in carico a livello sociale e sanitario 24 ore su 24 a causa della loro non autosufficíenza psichica e sociale, che hanno necessità di un periodo (generalmente per noi non oltre i 3 anni) di esperienza socializzante e riabilitativa; quindi una Comunità Protetta (SRR di tipo non intensivo), così come si evince nel documento elaborato dal gruppo di lavoro della 1^ Conferenza Regionale dei Servizi Sociali, facente capo al Dr. Beccaceci. Infine possiamo dire che, per quanto riguarda i nostri rapporti con le realtà territoriali associative e culturali, il Gruppo Famiglia ha sempre rappresentato uno stimolo ed una “provocazione” nel settore delle politiche sanitarie e sociali ponendosi non solo come oggetto di studio, per chi ne era interessato, ma anche come agente attivo nella costruzione di nuovi contenuti riguardo Ia deistituzionalizzazione e salvaguardia dei diritti. Questo è avvenuto operando nel settore dell’handicap fisico nella prima parte della storia della Comunità (abbiamo dato vita alla Lega Nazionale per il diritto al lavoro degli handicappati, che ha elaborato il testo di riforma della legge 482 sul collocamento obbligatorio), sensibilizzando cittadini e istituzioni, per l’abbattimento delle barriere architettoniche; nel settore dei diritti del cittadino (promuovendo nel nostro territorio il Tribunale per i diritti del malato) e nel settore del disagio psichico. A questo proposito vale la pena ricordare la formazione insieme ad altre Associazioni del Coordinamento Marchigiano delle Associazioni per la Salute Mentale in cui siamo parte attiva. E’ stato attivato un Comitato cittadino sangiorgese, promotore e sostenitore di iniziative volte alla difesa della Comunità a tutt’oggi attivo. Si è svolto nel Maggio dello scorso anno un Convegno organizzato e portato e termine dal Gruppo Famiglia in occasione del ventesimo anno dalla sua nascita e patrocinato anche dalla Regione Marche. La giornata di studio ha visto presenti numerosi esperti di fama nazionale e regionale, medici, paramedici, familiari, educatori ed operatori dei settore delle Marche e dell’Abruzzo. Tutti ci siamo confrontati su questi venti anni di psichiatria che hanno coinciso con l’apertura e l’esperienza del Gruppo Famiglia. Si è aperto così un nuovo capitolo della Comunità nel quale si consolida l’ìnteresse per la salute mentale, nella globalità della presa in carico del soggetto, dalla cura al reinserimento. Per quanto riguarda il Progetto Obiettivo Regionale ci permettiamo di sottolineare due aspetti che a nostro parere andrebbero meglio approfonditi; il primo riguarda l’aspetto riabilitativo del paziente con disturbi psichici, che secondo noi è la parte finale di uno stesso programma comprendente la cura e la riabilitazione del soggetto; quindi deve esserci carico del servizio sanitario e non del servizio sociale, fermo restando la partecipazione economica dell’utente là dove ci sono le possibilità. L’aspetto sociale invece, a nostro avviso, scatta nel momento in cui il soggetto è pronto per reinserirsi, o autonomamente o con altri in gruppi appartamento, e quindi necessita di un’abitazìone, eventualmente di un lavoro e di una sussistenza che gli permetta di lasciare la struttura che fino a quel momento lo aveva in carico. C’è da sottolineare, e non è ne retorica ne demagogica, che nel servizio sanitario nazionale per decenni si è fatto sperpero di risorse economiche; oggi, dal centro alla periferia, si vuole restringere “i cordoni della borsa” partendo dalla psichiatria, da sempre considerata meno di una cenerentola, sia per le risorse finanziarie impegnate sia per il completamento degli organici. Non dimentichiamo che le ASL spesso e volentieri tentano di tirare la “giacchetta” ai tecnici, e qualche volta ci riescono, per attribuire al soggetto in esame la minor parte possibile di sanitario, lasciando la maggiore ai Comuni. Il secondo aspetto è quello che bisogna fare i conti con le risorse economiche dei Comuni per il settore sociale, che è sempre più impoverito. Visto che i Comuni sono chiamati ad impegni e programmi sempre più pesanti, dovrebbero essere maggiormente coinvolti dalla Regione e dalle ASL per la programmazione degli interventi. Resta comunque inconfutabile che nel rispetto della unicità di ogni persona, dividere in psichiatria l’aspetto sociale da quello sanitario rasenta paradossalmente la schizofrenia.